26 giugno 2007

Ritorno

24 ore
La faccia dell'uomo che sputa e' meravigliosa..

Frammenti di DelhiMorning tea
Tornei interminabili di 'sweep' (un gioco geniale del Bengal)
Sari stesi lungo i binari
Monsone dalla finestra di un treno (1)
Monsone dalla finestra di un treno (2)
'Generale'
Howrah bridge


Verso sera



Cielo d'oriente

Quando l'ho viste sono impazzita. Luna e Saturno in una danza turco-pakistana..

Anche gli angeli cadono

La quiete dopo la tempesta

Arrampicata su un serbatoio non mi sento neanche in colpa a fotografare tutto quello che mi e' stato impedito in questi ultimi mesi.
Le case che si vedono nelle foto sono quelle degli Zamindar, i famosi 'castelli' di cui ho parlato diverse volte - ostentazione di una ricchezza spesso piu' apparente che reale. Nella seconda foto si intravede il Gurudwara (tempio dei Sikh), nella terza si scorgono alcune protuberanze delle zone povere (infotografabili).




In casa di Darshan Sing



Rose, bimbe bianche, coppe scolorite e vecchi saggi barbuti - tutto quello che ci vuole per l'immaginario 'panteistico' indiano..
Il padrone di questa casa, pancia enorme e volto sudato, e' stato piu' volte campione nazionale di Kabaddi, un'assurdo sport in cui i concorrenti devono riuscire a fare un'incursione in campo nemico, essere toccati e tornare nel proprio campo senza mai smettere di ripetere 'Kabaddi' (e, fondamentalmente, senza mai respirare).
P.s. Per chi volesse dettagli... http://en.wikipedia.org/wiki/Kabaddi, oppure http://www.kabaddi.org/

Dalla finestra




22 giugno 2007

Qualche foto tecnica (cortesia di Vikas)

Malkit Singh

Locally manufactured pump
Winnowing machine Disc plough



'Cosa vedi nel futuro di questo villaggio?' domanda mio padre.
Meccanizzazione senza modernizzazione.
Divari irreparabili.
Contadini che si danno all'alcool, perche' e' l'unica via d'uscita.

Alcuni cominciano a bere alle cinque e trenta del mattino..

20 giugno 2007

Monsoon

This & That (1)
This & That (2)

Dalla polvere al fango. Sono arrivati i monsoni anche qui, nella citta' che dieci giorni fa vantava la temperatura piu' alta di tutta l'India. Non e' normale che la pioggia arrivi cosi' lontano, dopo aver viaggiato per migliaia di chilometri dalla punta estrema del Tamil Nadu - i contadini si abbracciano per strada, sperando che le loro terre possano finalmente avere acqua sufficiente per dare un raccolto anche lontanamente simile a quello delle pianure fertili del sud.

Noi ci aggiriamo per il villaggio nelle brevi pause tra un acquazzone e l'altro, togliendoci le scarpe, affondando nel fango fino alle ginocchia. Siamo fradici ed abbiamo freddo, ma risentiamo dell'euforia generale, galvanizzati dal gracchiare frenetico di centinaia di enormi ranocchie verdi fosforescenti comparse dal nulla (dove vivono le rane in una terra senza acqua?) - la colonna sonora di un villaggio che risorge. In parte.

Oltrepassati i confini invisibili che separano una casta dall'altra, lo stesso canto delle rane sembra portare qualche presagio nefasto. Il villaggio e' stato costruito in modo tale che se l'acqua dell'enorme pozza centrale straripa, fluisce tutta in una direzione: verso le catapecchie di fango dei senza-terra. La pioggia martellante distrugge i tetti dall'alto e inonda le case dal basso, sciogliendo lentamente le mura ed i pavimenti. Case intervistate due giorni prima sono letteralmente scomparse, le famiglie costrette a rifugiarsi presso qualche parente piu' fortunato. E per loro non esiste neanche la prospettiva di un raccolto migliore.

Ma la cosa che piu' mi fa paura e' che non sembra esserci alcuna rabbia o senso di ingiustizia. Qualsiasi calamita', sventura o sopraffazione viene accettata in maniera passiva, come se fosse inevitabile. Per questo non si organizzano, per questo non protestano, per questo i tentativi di far aderire i lavoratori di questa zona ad un sindacato sono (quasi) tutti falliti. Non riesco mai a capire quale sia il ruolo della religione in questa vocazione all'impotenza. La maggior parte degli abitanti di questa zona non e' neanche induista, ma Sikh - in teoria paladini dell'uguaglianza sociale, turbante in testa, coltello al fianco. L'unica spiegazione che riesco a dare e' l'assuefazione dovuta a generazioni di soprusi e la provenienza da regioni diverse, ciascuno di loro uno sradicato disilluso, nucleo a se' stante, impotente.


Imbarazzo della scelta


823 miglia da dove?


The Matrix (dharamasala dove facciamo campo-base)

Late. Victoria train station.


Risk


Spero di poter aggiungere foto di 25 F quando Ram mi permette di rubargliele..

14 giugno 2007

25 F

Ci sono posti al mondo che non si possono permettere neanche un nome, tanto sono disgraziati. Poterli chiamare li renderebbe reali.
Il villaggio dove sono arrivata due giorni fa e' uno di questi. Lo chiamano 25 F, ma solo perche' e' il 25esimo insediamento lungo il canale F. Qualche kilometro piu' in la' vivono gli allegri abitanti di 26 F, lungo qualche altro canale scorre la vita della popolazione di 13 B o 6 L. Che senso ha darsi un nome quando la propria vita e' una parentesi?
Gli insediamenti in questa zona del nord del Rajsthan sono stati tutti creati dal nulla negli anni trenta, quando il governo locale ha deciso di ripopolare la zona creando un'enorme rete di irrigazione. Con qualche sussidio qua e la', varie bustarelle e qualche ricatto, oltre ovviamente all'attrattiva di poter trovare lavoro e terre 'fertili', migliaia di persone si sono riversate improvvisamente in questa fascia di deserto, dove la terra e' a scaglie e le polveri sottili obnubilano la vista. Da 25 F si intravedono appena gli eucalipti della strada principale. Piccolo dettaglio: sono a meno di 100 metri di distanza.
Chi aveva i soldi negli anni trenta si e' subito accaparrato enormi appezzamenti di terra - 80, 100, 170 ettari - , chi non aveva niente, l'80% della popolazione, pensava di aver finalmente trovato la 'terra promessa' dove l'acqua scorre tutto l'anno ed il lavoro e' sempre assicurato.
Ma le terre promesse non promettono sempre il meglio. Nel corso degli ultimi ottant'anni gli Zamindar (signorotti locali) hanno stretto la cerchia, forzato centinaia di lavoratori all'indebitamento, rendendoli letteralmente schiavi, 'Siri'. Gli schiavi vengono pagati, sia chiaro. Ma lavorano dalle 12 alle 14 ore al giorno per un salario che a mala pena basta a sfamare una persona. E non sono liberi di scegliere.
Il problema e' che neanche i 'liberi' la passano tanto meglio. Quei pochi che ancora non hanno chinato la testa non trovano piu' lavoro - tutte le principali operazione agricole vengono svolte dai Siris, che costano meno e sono costretti a seguire ogni volonta' dei padroni. Quando un gruppo di 'daily labourers' ha tentato di protestare per farzi alzare i salari, gli Zamindar si sono riuniti ed hanno deciso di non farli piu' lavorare nei loro campi, costringendoli all'emigrazione.
Dhampar Singh ci racconta che non ha scelta - 'loro sono uniti, noi abbiamo paura - ed io non ho neanche i soldi per andare altrove'.

10 giugno 2007

Frammenti e trame

Lungomare, MumbaiSoumita
In direzione ostinata e contraria
Perche' sprecare elettricita'? Ruota spinta 'a mano' (notare uomo sospeso)
Ed e' subito sera

RisveglioTuristi anche noi, a volte
The animals went in two by two

Le invasioni barbariche
Uday
Con Paramita e Divya
The flame of the forest
La sera, competizioni di canto

Frammenti e trame (2)

Pensieri notturniProvogue
Oltre il bianco. Dhobi gat di Mumbai