14 giugno 2007

25 F

Ci sono posti al mondo che non si possono permettere neanche un nome, tanto sono disgraziati. Poterli chiamare li renderebbe reali.
Il villaggio dove sono arrivata due giorni fa e' uno di questi. Lo chiamano 25 F, ma solo perche' e' il 25esimo insediamento lungo il canale F. Qualche kilometro piu' in la' vivono gli allegri abitanti di 26 F, lungo qualche altro canale scorre la vita della popolazione di 13 B o 6 L. Che senso ha darsi un nome quando la propria vita e' una parentesi?
Gli insediamenti in questa zona del nord del Rajsthan sono stati tutti creati dal nulla negli anni trenta, quando il governo locale ha deciso di ripopolare la zona creando un'enorme rete di irrigazione. Con qualche sussidio qua e la', varie bustarelle e qualche ricatto, oltre ovviamente all'attrattiva di poter trovare lavoro e terre 'fertili', migliaia di persone si sono riversate improvvisamente in questa fascia di deserto, dove la terra e' a scaglie e le polveri sottili obnubilano la vista. Da 25 F si intravedono appena gli eucalipti della strada principale. Piccolo dettaglio: sono a meno di 100 metri di distanza.
Chi aveva i soldi negli anni trenta si e' subito accaparrato enormi appezzamenti di terra - 80, 100, 170 ettari - , chi non aveva niente, l'80% della popolazione, pensava di aver finalmente trovato la 'terra promessa' dove l'acqua scorre tutto l'anno ed il lavoro e' sempre assicurato.
Ma le terre promesse non promettono sempre il meglio. Nel corso degli ultimi ottant'anni gli Zamindar (signorotti locali) hanno stretto la cerchia, forzato centinaia di lavoratori all'indebitamento, rendendoli letteralmente schiavi, 'Siri'. Gli schiavi vengono pagati, sia chiaro. Ma lavorano dalle 12 alle 14 ore al giorno per un salario che a mala pena basta a sfamare una persona. E non sono liberi di scegliere.
Il problema e' che neanche i 'liberi' la passano tanto meglio. Quei pochi che ancora non hanno chinato la testa non trovano piu' lavoro - tutte le principali operazione agricole vengono svolte dai Siris, che costano meno e sono costretti a seguire ogni volonta' dei padroni. Quando un gruppo di 'daily labourers' ha tentato di protestare per farzi alzare i salari, gli Zamindar si sono riuniti ed hanno deciso di non farli piu' lavorare nei loro campi, costringendoli all'emigrazione.
Dhampar Singh ci racconta che non ha scelta - 'loro sono uniti, noi abbiamo paura - ed io non ho neanche i soldi per andare altrove'.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

cara Vale oggi ho imparato anche io a mangiare il mango senza sporcarmi le mani, ma fra tutte non è questa la cosa che ti invidio di più. in bocca al lupo. il vecchio Micci da Palermo

Anonimo ha detto...

Che dire di fronte a questo? E siamo in India, nella Più Grande Democrazia. Si vede scorrere un altro canale, quello della consapevolezza e dell'organizzazione sociale? Si vedono semi di un cambiamento? E se dovessi scommettere cosa ci sarà lì, in termini agricoli, in termini unmani e sociali fra 50 anni ? O fra 10 ? FB